Pesce crudo: rischio Anisakis, cosa c’è da sapere
Anche in Italia negli ultimi anni è aumentato il consumo di pesce crudo e parallelamente è aumentato il rischio da Anisakis. L’aumento dilagante della passione per le specialità della cucina giapponese e asiatica, ha comportato nel nostro paese un numero non indifferente di degenze in ospedale e di patologie legate all’Anisakis. Entriamo quindi nel dettaglio cercando di fare chiarezza su alcuni aspetti poco conosciuti dai consumatori ma purtroppo alle volte anche dai ristoratori.
Cosa è l’Anisakis e dove si trova?
L’Anisakis fa parte dei vermi nematodi ed è uno dei parassiti più pericolosi che si possono riscontrare in alimenti non cotti. Questo parassita in genere vive nell’intestino dei mammiferi marini, come i delfini, le balene o le foche. Nello stadio di larva, si trova anche in molti pesci, come il salmone, il tonno, le acciughe, il merluzzo e lo sgombro, nei quali è diffusissimo. Nei pesci sono presenti all’interno delle carni, prevalentemente nella parte inferiore, dove assumono una colorazione biancastra o rosata. Si stima che sia rintracciabile, ad esempio, nell’85% delle aringhe e nel 70% dei merluzzi. Il ciclo vitale dell’Anisakis è molto complesso, in breve: le uova di questo parassita si diffondono in mare tramite le feci dei mammiferi marini, poi allo stadio larvale l’Anisakis è ingerito dai gamberetti più piccoli e dai calamari, che a loro volta saranno predati da altri pesci. L’ospite accidentale può essere l’uomo se quest’ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto che contenga al suo interno la larva di Anisakis.
Cosa è l’Anisakiasi?
Le larve di Anisakis possono costituire un rischio per la salute umana in due modi: parassitosi causata da ingestione di pesci crudi contenenti le larve oppure una reazione allergica ai prodotti chimici liberati dalle larve nei pesci ospiti. Nel primo caso si parla di Anisakidosi o Anisakiasi ovvero un’infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata dall’ingestione di prodotti ittici crudi o non sufficientemente cotti contenenti le larve di Anisakis. Quando l’uomo mangia pesci o calamari crudi o poco cotti (il pesce e i crostacei sono le principali fonti di contagio), ingerisce anche le larve dei nematodi; penetrate all’interno dell’organismo le larve invadono l’apparato digerente. Con le appendici anteriori, le larve dei nematodi presenti nel pesce o nei crostacei si incistano nella parete dell’apparato digerente, a livello della tonaca muscolare. In alcuni casi possono penetrare più in profondità nella parete intestinale, perforarla e raggiungere il resto dell’organismo. Le larve producono una sostanza che attrae nella zona colpita diversi agenti del sistema immunitario (globuli bianchi eosinofili) che tendono a formare un granuloma nei tessuti che circondano il parassita. All’interno dell’apparato digerente, il nematode può staccarsi e riattaccarsi più volte alle pareti, ma raramente giunge a maturazione negli esseri umani: di norma viene eliminato spontaneamente dalle difese immunitarie entro tre settimane dall’infezione. Tuttavia, anche dopo la loro scomparsa i sintomi e i danni creati all’esofago, allo stomaco, all’intestino e al colon possono permanere.
Quali sono i principali sintomi dell’Anisakiasi?
Al momento dell’ingestione di pesce infestato da Anisakis, il primo fra i sintomi può essere una prurito o pizzichio alla gola. Quando ciò avviene, si deve tentare di espellere le larve il prima possibile attraverso il vomito autoindotto, prima che raggiungano l’esofago. Se avviene l’ingestione, solitamente entro alcune ore è possibile avvertire un forte dolore addominale, nausea e vomito. Se invece arrivano nell’intestino si ha una grave reazione immunitaria granulomatosa. Di seguito vengono elencati alcuni sintomi tipici della Anisakiasi: Forte dolore addominale, Nausea, Respirazione affannata, Pesantezza di stomaco, Vomito, Diarrea, Febbre, Calo delle forze, Congiuntivite, Orticaria, Perforazione gastrointestinale, Emorragia gastrointestinale. Anche le reazioni allergiche, come detto, non sono da escludere. In questo caso l’Anisakis causa sintomi come lo shock anafilattico, l’orticaria, la congiuntivite e gli attacchi d’asma. La terapia dell’Anisakidosi consiste generalmente nella rimozione del parassita dall’organismo, mediante endoscopia o intervento chirurgico. In alcuni casi invece l’infezione guarisce ricorrendo unicamente alla terapia sintomatica.
Come prevenire il rischio di Anisakis?
L’Anisakiasi può essere prevenuta mediante la cottura e/o il congelamento del pesce a temperature adeguate per un tempo sufficientemente lungo, mentre non viene scongiurata né dalla marinatura, né dalla salatura, né dall’affumicatura. Per quanto riguarda la cottura l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) suggerisce che si deve portare la parte più interna del pesce ad una temperatura superiore a 60 °C per almeno un minuto. Per ottenere questo risultato è necessario cuocere il pesce per una durata più lunga e ad una temperatura maggiore. Per il congelamento invece, i ristoratori, come prevede il sistema HACCP, devono possedere e utilizzare obbligatoriamente l’abbattitore, un macchinario (ben diverso dai comuni congelatori che abbiamo in casa) in grado di portare rapidamente gli alimenti a una temperatura di circa 20 gradi sotto lo zero.
Cosa prevedono le normative vigenti?
L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda che l’eviscerazione, il congelamento ad almeno -23 °C per una settimana e la cottura avvengano il più presto possibile. Nei paesi dell’Unione europea la normativa CE 853/2004 raccomanda il congelamento dei prodotti ittici a -20 °C per almeno 24 ore e prevede l’ispezione a campione dei prodotti ittici, l’eventuale identificazione del parassita e la conseguente rimozione dal mercato dei prodotti pesantemente contaminati. Inoltre tale normativa prescrive per i ristoratori l’obbligo di munirsi di abbattitori di temperatura in relazione ai quantitativi di prodotto che si intendono trattare.
Consigli utili per i ristoratori?
Ecco alcuni consigli che il consulente HACCP offre ad un ristoratore che intende preparare e servire piatti a base di pesce crudo: presentare DIA sanitaria alla ASL competente per notificare l’attività di preparazione e somministrazione di pesce crudo; dotare l’impresa di abbattitore di temperatura e di termometro a sonda per attuare e verificare il processo di congelamento;aggiornare adeguatamente il Piano di Autocontrollo, descrivendo il ciclo produttivo in oggetto, le attrezzature dedicate, prevedendo diversi CCP dedicati alla lavorazione del pesce crudo; effettuare un controllo visivo durante le operazioni di filettatura e pulizia del pesce; scongelare adeguatamente il pesce a temperatura controllata, ossia in frigorifero. Il prodotto non consumato non può essere ricongelato.
Consigli utili per i consumatori?
Ecco alcuni consigli che il consulente HACCP suggerisce ai consumatori che intendono consumare pesce crudo: assicurarsi sempre che nel ristorante in cui si mangia pesce crudo o marinato questo venga preventivamente sottoposto a trattamento termico adeguato; nel consumo casalingo di pesce crudo, acquistarlo fresco e congelarlo per almeno quattro giorni nel congelatore; effettuare un controllo visivo durante le operazioni di filettatura e pulizia del pesce; cuocere il pesce per una durata più lunga e ad una temperatura maggiore (preferibilmente in forno); prestare particolare attenzione alle specie a rischio, come lo sgombro, le sardine, il tonno e il pesce azzurro. In generale prestare particolare attenzione allo storia del ristorante e al suo menù, evitare i ristoranti con formula “all-you-can-eat” che offrono quantità smisurate di pesce a prezzi stracciati. Informarsi bene sulla preparazione e la provenienza degli alimenti prima di sedersi al tavolo di un ristorante. In ogni caso, se si acquistano sushi o sashimi al supermercato leggere bene l’etichetta di conservazione.
Approfondimento a cura del Dr. Bulla Antonino